Cassazione: utilizzare il collare antiabbaio per l’addestramento del cane è reato
Numerose pronunce della Corte di Cassazione affermano che l’addestramento del cane mediante l’uso del collare antiabbaio può essere considerato una forma di maltrattamento inquadrabile nella fattispecie di reato ex art. 544-ter del Codice penale.
Tuttavia, in assenza di esplicite disposizioni amministrative in materia, questo controverso strumento “educativo” continua ad essere commercializzato e, quindi, utilizzato.
Il collare antiabbaio nell’addestramento del cane e l’illecito penale di maltrattamento
Addestrare il proprio cane facendogli indossare un collare elettrico configura, secondo la giurisprudenza ormai concorde della Cassazione, il reato di maltrattamento di animali previsto dal nostro Codice penale all’art 544-ter.
Con l’uso del collare elettrico, infatti, si realizza una forma di addestramento del cane basata su uno stimolo doloroso, il che permette di ravvisare la sussistenza del nesso di causalità tra l’utilizzo del collare antiabbaio e il maltrattamento dell’animale.
Questo assunto trova conferma anche nel combinato disposto dell’art 544-ter con l’art 727 del nostro Codice penale, norma quest’ultima che punisce “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.
Se si analizza, infatti, l’addestramento tramite l’uso del collare elettrico, risulta chiaro che in questa pratica si verificano le due condizioni stigmatizzate dalla legge: in primo luogo, la costrizione del cane in condizioni incompatibili con la sua natura (dato che gli viene inibito l’atto dell’abbaiare, ovvero il suo modo istintivo di comunicare) e il male fisico che la scossa elettrica gli procura.
Particolarmente importante la pronuncia emessa nel 2013 dalla Corte di Cassazione, in cui si afferma specificamente che utilizzare il collare elettrico è “certamente incompatibile con la natura del cane”.
Ma le ormai numerose sentenze della Cassazione in merito, ribadiscono tutte il medesimo concetto: chiunque imponga al cane il collare antiabbaio, anche giustificandone l’uso con lo scopo di addestramento, pone in essere un comportamento delittuoso, perché l’effetto deterrente dello strumento si attua con l’invio di una scossa elettrica che provoca nel cane una sensazione dolorosa e altri effetti collaterali come paura, ansia, aggressività e depressione (Cass. n. 3290/2018 e altre concordi).
La legge 201/2010 sulla protezione degli animali da compagnia
Le disposizioni del Codice penale in tema di maltrattamento degli animali sono confermate anche dalla legge n° 201 del 2010, che ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa del 1987 e che, all’art. 7, contiene una disciplina specifica in materia di addestramento.
Questa norma vieta di addestrare gli animali utilizzando mezzi che possono “causare ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili”.
Nella legge, dunque, si fa espresso divieto dell’uso di qualunque forma di addestramento che utilizzi mezzi artificiali e possa rivelarsi dannosa per il benessere fisico e psichico dell’animale: sulla base di questa definizione, è piuttosto evidente che il collare elettrico possa rientrare nelle tipologie di trattamento inadeguato.
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La rilevanza in concreto della legge nella situazione attuale
Nonostante non sia in discussione il carattere coercitivo e crudele del sistema con il quale il collare elettrico spiega la sua azione, di fatto non esiste ancora una linea guida univoca di attuazione delle norme che ne vietano l’utilizzo. Tanto è vero che, in totale contrasto con le sentenze della Cassazione, la vendita del collare antiabbaio non è esplicitamente impedita dalla legge.
Da ciò deriva che la rilevanza penale dell’uso di questo strumento a fini di addestramento, pur essendo chiaramente rilevabile consultando la giurisprudenza in merito, ad oggi deve effettivamente essere valutata caso per caso.
I contorni di tale controversa questione, pertanto, appaiono poco definiti e la sua soluzione sembra essere ancora lontana. Perché ciò avvenga in concreto, è auspicabile un globale cambiamento culturale e sociale, basato sulla consapevolezza che arrecare dolore ad un essere vivente non può mai essere giustificato con la finalità di educarlo.